domenica 25 aprile 2010
La moglie sbagliata di Mahajan Karan

lunedì 19 aprile 2010
Letteratura nelle lingue Indiane
Sunil Deepak
Questa breve relazione vuole presentare una panoramica generale sullo sviluppo della letteratura nelle lingue indiane. Mi soffermerò su due punti chiave:
I legami tra la letteratura indiana e la sacralità
Il ruolo della letteratura nel dare voce ai gruppi più oppressi ed emarginati, soprattutto le donne e le caste degli intoccabili
Dopo l’indipendenza dell’India, nel 1947, sono emersi diversi scrittori indiani che scrivono in inglese e molti di loro sono ben conosciuti anche in Italia. Questa tendenza di scrivere in inglese ha avuto particolare sviluppo negli anni novanta e spesso i loro libri sono tradotti in varie lingue e ottengono successo. Tra questi ci sono scrittori come Salman Rushdie, Arundhati Roy, Anita Desai, Amitabh Ghosh, Vikram Seth, Vikram Chandra, ecc. I libri di quasi tutti questi scrittori sono disponibili nella biblioteca qui accanto. [Si sta parlando nella Sala Borsa di Bologna]
Gli autori indiani che scrivono in inglese appartengono quasi sempre alla media o alta borghesia e rappresentano le caste più alte. Molti di loro vivono in occidente. I mondi dei loro libri, i protagonisti e le società raccontate, affrontano problemi della media e alta borghesia metropolitana. Esiste una tradizione molto più vasta di scrittori indiani che si esprimono nelle lingue indiane e rimangono più o meno sconosciuti in Italia e in occidente. Essi parlano di mondi ancora più tradizionali e più vicini alla realtà della vita indiana, forse per questo sono anche meno comprensibili ai lettori occidentali. La mia relazione riguarda questi scrittori.
Si crede che la scrittura sia nata circa 2.500 anni A.C. nella mesopotamia. Dall’altra parte più o meno nello stesso periodo sono nate scritture anche in altre culture come quelle indoeuropee, quelle cinesi e quelle egiziane. Anche le prime scritte indiane risalgono alla stessa epoca, come evidenziato dai reperti trovati nelle rovine di Harappa e Mohanjodaro, dove si trovano i pittogrammi, ancora non decifrati. Si pensa che questa cultura si sia persa intorno a 1800 a.c. Poco dopo appaiono i primi reperti della cultura indoeuropea nella scrittura chiamata Brahmi. Le lingue derivate dal Brahmi, tra le quali Sanskritto, Hindi, Bengali, Gujarati, ecc. sono oggi le lingue dell’India.
Ma è necessario avere la scrittura per avere la letteratura? Come possiamo definire la tradizione orale millenaria conservata negli antichi testi della cultura indiana? Alcuni dei più antichi testi indiani sono il risultato di questa tradizione orale, dove le successive generazioni hanno, probabilmente, aggiunto o modificato parte dei testi. Questi primi testi sono strettamente legati alla sacralità e comprendono i quattro Veda e le Upanishad. Mentre i veda presentano le preghiere, la descrizione dei riti sacri e le formule magiche per i sacrifici, gli Upanishad sono invece i testi spirituali e parlano dell’anima e dell’essere uomo nel mondo. Di questa stessa epoca sono il Manusmritti o le memorie del primo uomo che definisce l’origine delle caste, il Ramayanao la storia di Rama, e il Mahabharata, la saga del grande India.
Ramayana è la storia del principe Rama, la sua obbedienza ai genitori, la sua rinuncia al regno e la sua lotta con il demone Ravana per riprendere la propria moglie Sita. Ramayana ha una forte influenza sulla cultura indiana e definisce il comportamento dell’uomo ideale come figlio, come fratello, come padre, come marito e come re. La sua moglie Sita incarna lo spirito di sacrificio e di estrema fedeltà al marito. Questa storia, di 4000 anni fa, non è solo il libro più conosciuto in India, ma è la storia viva che milioni di indiani vivono ogni anno, per dieci giorni durante l’autunno, quando gruppi locali e nazionali organizzano le rappresentazioni teatrali in tutti i quartieri e le città del paese. La sua influenza arriva fino alla Thailandia, Indonesia e Vietnam. Da bambini, nelle famiglie indù, si imparano le caratteristiche ed i comportamenti ideali dell’uomo e della donna.
Nella storia di Ramayana: da una parte si vedono le origini del sistema patriarcale, dove il ruolo della donna è subordinato all’uomo, dall’altra, il principe Rama dimostra più volte l’importanza di rispettare tutti gli uomini senza badare alle loro origini e caste. Nonostante la sua grande influenza, Ramayana, non riesce a sconfiggere il sistema delle caste e soprattutto l’oppressione di quelle più basse. La versione più popolare di questo testo oggi è quella scritta da Tulsidas nel XVI secolo.
Mahabharta è il più grande poema del mondo con più di 10.000 versi. Questo libro racconta la storia di due famiglie, i Kaurav e i Pandav, e le loro lotte. Con centinaia di caratteri e numerose storie parallele è un libro molto complesso. Si dice che tutte le storie del mondo siano già presenti in questo libro e ogni nuova storia sia solo una variazione di una trama già scritta in Mahabharata. Oggi il libero comprende il Bhagvad Ghita, il sermone di Krishna al guerriero Arjun sul senso della vita. E’ un testo spirituale molto profondo e bello che ha ispirato milioni di persone, compreso la filosofia della non-violenza di Mahatma Gandhi. Da una parte il libro spiega che il Dio è onnipresente e ogni cosa vivente e non vivente è la sua manifestazione, dall’altra si parla dell’anima come qualcosa che fa parte di Dio e che non può essere distrutta. Ghita dice: come noi cambiamo i vestiti quando sono vecchi, cosi l’anima cambia il corpo quando esso diventa vecchio, ma l’anima è immortale.
Uno dei primi testi laici è Arthashastra o l’enciclopedia dell’economia di Kautilya e risale al 250 A.C. circa. Nello stesso periodo appare il Kalidasa, uno degli scrittori antichi più conosciuti in India. Tra i suoi libri ci sono Meghdutam (la nuvola messaggera) e l’Abhigyan Shakantulam (il racconto di Shakuntala). Quest’ultimo è un libro con battute ironiche e umoristiche e racconta la storia di Shakuntala che viveva nella foresta e narra la sua storia d’amore con il re Dushyanta.
Attorno al 300 D.C. cominciano ad apparire molti altri scrittori, tra questi Banabhatta, Bharvi,Bhavabhuti, ecc. Vi sono testi buddisti scritti in Pali e nel sud dell’India vi sono capolavori come Tirukkural scritti in Tamil.
Intorno all’ VIII e XI secolo sono arrivati i turchi in India e cosi inizia un nuovo periodo di integrazione culturale. Tuttavia la scrittura in Sanskritto continua a fiorire. Cosi Somdeva scriveKathasarisagar e Jayadeva scrive Geet Govinda. Iniziano anche i primi scritti in persiano tra cuiTarikhe-e-firoz shahi e Fatwa-i-jahandari. Da una parte i poeti sufi come Amir Khusru scrivono Qir e sadagan, dall’altra, i poeti popolari come Kabir scrivono versi di profondo misticismo e di estrema semplicità. I versi di Kabir sono ancor’oggi popolari e parlano di un unico dio e del bisogno di pace tra hindu e musulmani.
Dobbiamo aspettare fino al XV secolo per la prima scrittrice donna, Mira Bai, ancora oggi ammirata e cantata. La sua poesia è profondamente romantica e nello stesso tempo alla ricerca di dio. Il libro Padmavat di Mohammed Jayasi dello stesso periodo, dimostra il sincretismo tramisticismo indù ed i poeti sufi musulmani di quest’epoca.
Scrittori moderni come Bhartendu Harishchandra e Munshi Prem Chand arrivano nella seconda metà del XVIII secolo.
Per parlare della scrittura moderna indiana vorrei focalizzare il mio discorso sulle scrittrici donne. Sono tre le scrittrici del XX secolo che hanno lasciato un forte segno sulla letteratura indiana. Tutte e tre nate all’inizio del novecento e sono Mahadevi Verma che scrive in Hindi,Mahashweta Devi in Bengalese e Amrita Pritam in Punjabi.
La scrittura di Mahadevi Verma è intrisa di romanticismo, il chayavad indiano. Mahashweta Devi invece è la voce della denuncia dell’oppressione delle tribù e delle caste basse del Bengala, mentre Amrita Pritam parla della donna, dei suoi desideri e della sua oppressione. Queste tre scrittrici sono molto diverse fra di loro e ciascuna ha profondamente segnato la storia della letteratura indiana contemporanea. Mahadevi Verma ha scritto libri semplici e profondi e non è mai stata sfiorata dallo scandalo, mentre le altre due scrittrici sono spesso state accusate di essere comuniste o oscene. Mahashweta Devi in un suo celebre libro, “La madre del 1084”, racconta la storia di una madre della piccola borghesia alla ricerca della verità sul figlio “terrorista” morto in prigione e scopre il mondo disperato degli oppressi e dei poveri e cosi inizia a capire i sentimenti del proprio figlio incompreso.
Vi sono molte altre donne scrittrici riconosciute tra le quali vorrei citare Ashapurna Devi, Krishna Sobti, Shivani, Mrinal Pande, Mehrunnissa Parvez, Maitreyi Pushpa e Alka Saraogi. Queste due ultime meritano un approfondimento. Maitreyi Pushpa per la sua narrativa piena di struggente poesia sulla vita delle donne povere e Alka Saraogi per l’ampiezza del suo racconto. Alka è l’unica scrittrice indiana della quale è stato recentemente tradotto dall’hindi in italiano un suo libro,Bypass al cuore di Calcutta.
Alla fine vorrei accennare ad un altro fenomeno: la valorizzazione della letteratura dei dalit. Dalitletteralmente significa i calpestati e sono le caste dei poveri e degli intoccabili. Negli ultimi venti anni lentamente questa letteratura è diventata un voce di sfida e di denuncia dell’ingiustizia sociale che continua a caratterizzare milioni di vite, 50 anni dopo l’indipendenza.
domenica 18 aprile 2010
Such a long journey. Rohinton Mistry
Nell’ambito della letteratura indiana contemporanea si è assistito all’emergenza di nuovi talenti, i cui romanzi hanno lasciato un segno. Uno dei più sensazionali eventi letterari del passato abbastanza recente è stata la pubblicazione di Midnight’s Children di Salman Rushdie.
L’opera, oltre a riscuotere un successo internazionale, ha influenzato un’intera generazione di giovani romanzieri indiani, che ha cercato di seguire le sue orme. Tra tutti questi scrittori uno dei più interessanti è proprio Rohinton Mistry, con il suo romanzo Such a Long Journey, scrittore emigrato in Canada, ma ancora totalmente legato alla madrepatria: l’India. Il merito maggiore di Mistry è quello di aver catturato totalmente nelle proprie opere l’affollata e movimentata vita del continente indiano.
Per questo, la sua narrazione offre un importante e ricco contributo alla letteratura anglo-indiana, a quella indiano-canadese e alla fiction della Commonwealth.
LA LETTERATURA INDIANO-CANADESE; Un recente studio di Suguna Siri (1988), riporta che tra il 1962 e il 1982, un sorprendente numero di scrittori sud-asiatici pubblica i propri lavori in inglese. Egli attribuisce il termine sud-asiatici a quei canadesi che fanno risalire le loro origini a India, Sri Lanka, Pakistan e Bangladesh. Si distinguono due ondate di immigranti che dall’Asia meridionale raggiungono le coste del Canada: la prima durante la dominazione britannica; l’altra dopo l’indipendenza ottenuta dall’India.
A cold coming we had of it Just the worst time of the year For a journey, and such a long journey [...] T.S. ELIOT, Journey of the Magi.
La citazione riportata è una delle tre epigrafi che aprono il romanzo Such a Long Journey, da cui Mistry trae il titolo dell’opera stessa. È importante precisare che la scelta della parola “journey” assume, per Mistry, un significato simbolico in quanto si riferisce alla vita e alle vicende che si muovono intorno alla figura centrale del romanzo, Gustad Noble. L’esistenza di Gustad è paragonata ad un lungo viaggio durante il quale egli dovrà affrontare svariati ostacoli e difficoltà. Paradossalmente gli insuccessi e l’infrangersi di sogni e aspettative lo renderanno ancora più forte; la sua bontà d’animo e la sua fermezza costituiranno il maggiore trionfo nella vita di Gustad.
L’azione si svolge a Bombay nel 1971, l’anno della guerra tra l’India e il Pakistan. Gustad Noble, impiegato di banca vive con la famiglia nel complesso residenziale del Khodadad Building; egli è la sola voce ragionevole nella comunità, la sua pacata dignità e il suo forte senso morale spiccano tra i tanti drammi di cui sono protagonisti i suoi litigiosi vicini.
Pian piano, però, il protagonista vede la sua modesta esistenza sgretolarsi. La figlia minore, Roshan, si ammala e non guarisce, a dispetto delle cure; il figlio maggiore Sohrab, brillante studente, si ribella alle ambizioni che il padre ha per lui e se ne va di casa; il figlio minore Darius si innamora della primogenita del peggiore vicino, Mr. Rabadi. Tutto sembra sfuggire al suo controllo.
Un giorno Gustad riceve una lettera da un vecchio amico, il Maggiore Bilimoria, considerato quasi un secondo padre dai suoi figli, scomparso senza lasciare traccia e che ora lavora per un settore della CIA, operante presso il governo di Indira Gandhi. Bilimoria gli chiede di aiutarlo in quella che da principio sembra una missione eroica. Per lealtà verso l’amico, Gustad accetta, nonostante l’iniziale titubanza e la costante preoccupazione; ben presto però si ritrova complice in una impresa poco chiara che finisce per sprofondarlo in una pericolosa rete di sotterfugi.
La fine del romanzo coincide con un serie di eventi funesti: la morte, a causa di un male incurabile, dell’amico e collega di lavoro Dinshawy, la scoperta del “complotto” nei confronti del Maggiore Bilimoria e la sua improvvisa e poco chiara morte in seguito alle torture inflittegli dalle “infrastrutture governative”.
L’unico avvenimento che fa riaccendere la speranza nel cuore di Gustad è il ritorno a casa di Sohrab. In questo clima di generale disperazione si apre uno spiraglio di luce, un desiderio di attesa che vuole essere di buon auspicio non soltanto per la famiglia Noble, ma per l’intera umanità.
Gustad Noble si può definire un eroe tragico che passa da uno stato di precaria felicità alla miseria più devastante.
Al di là delle vicende personali di Gustad, sono le mille realtà e le mille figure dell’universo indiano le vere protagoniste di questa complessa e affascinante storia.
Da una prima analisi del romanzo appare evidente l’esigenza di Mistry di centralizzare la “comunità” nella sua narrativa; questa prerogativa deriva da un senso di protezione nei confronti della propria cultura. La scrittura rappresenta il modo migliore per preservarne l’integrità.
Il concetto di “comunità” è uno dei Leitmotiv della narrativa mistryana. Lo stesso tema è ripetuto, ad esempio, in Tales From Firozsha Baag, dove Mistry scrive: “With the skill of a miniature painter, the residents of the “Baag” flat, and the local colour is totally authentic”. Il complesso residenziale del Firozsha Baag è il microcosmo nel quale si svolge l’azione dei personaggi; esso è legato al ricordo della realtà indiana personalmente vissuta nel periodo della propria adolescenza.
Molti personaggi di Such a Long Journey si identificano in una collettività che ha come comune denominatore la cultura parsi; spesso però, essi presentano caratteristiche individuali proprie che li contraddistingue rendendoli unici. L’universo umano di Mistry è, difatti, ricco di figure poliedriche che spaziano da quella buffa a quella triste, da quella buona a quella malvagia. Tra i personaggi principali vanno dunque ricordati: il collega di lavoro di Gustad, Dinshawy, figura singolare con il suo umorismo e la sua maschera comica; l’amico dell’infanzia Malcolm Saldhana, che ha iniziato Gustad alla musica occidentale e ai miracoli della chiesa cattolica di Mount Mary; il Dottor Paymaster, medico di famiglia, incapace di trovare una cura giusta per la piccola Roshan e Peerbhoy Paanwala, il dispensatore di Paan e di aneddoti ai visitatori del bordello di prostitute.
venerdì 16 aprile 2010
Il dio delle piccole cose
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