mercoledì 14 aprile 2010

l'indiano errante

alessandra consolaro

Questo articolo è stato presentato al Convegno nazionale Interculturalmente, 13 - 14 ottobre 2006, Università di Bolzano/Bozen, Brixen/Bressanone.

1. Letteratura e/o letterature

Quando si parla di “letteratura indiana”, in termini storici, ci si trova di fronte a un duplice problema: definire “letteratura” e definire “indiana”. Chi o che cosa sia “indiano” è oggetto di contenzioso in molte sezioni della società indiana: basti pensare agli scontri comunitaristi di Ayodhya nel 1992, o agli eventi di Godhra del 2002 per cogliere la difficoltà semantica del termine “indiano”. Quanto a ciò che costituisca la “vera” letteratura, a sua volta è materia di un serio dibattito: non si può ignorare la cosiddetta “letteratura dalit”1 o la “letteratura femminile”, un fenomeno in crescita praticamente in tutte le lingue indiane, con la conseguente discussione sul riconoscimento di questa produzione come “letteratura” o anche come “Letteratura”. È utile cominciare, dunque, dando conto della diversità linguistica dell’India. Il censimento del 1991 registrava 1576 lingue, in seguito raggruppate in categorie più generali, fino a raggiungere il numero di 114, delle quali 24 sono riconosciute dalla Costituzione come lingue nazionali.2 La Sahitya Akademi (l’Accademia nazionale delle Lettere) - la cui rivista in inglese porta il titolo Indian Literature e dal 1954 si presenta con il motto “Indian literature is one though written in many languages” - promuove 22 lingue3 in ragione della loro importanza letteraria, e negli ultimi anni sta cominciando a tenere in considerazione anche lingue di minoranza.4
La letteratura in India, nel senso di produzione letteraria, è antica quanto la scultura o la pittura, ma l’indagine scientifica e la costituzione della letteratura indiana come categoria teoretica risalgono al XIX secolo, quando August Wilhelm von Schlegel utilizzò il termine “letteratura indiana” come sinonimo di letteratura sanscrita.5 L’egemonia del sanscrito negli studi sull’India perdura tutt’oggi, tanto che gli studiosi di lingue e letterature moderne dell’Asia meridionale godono di un prestigio inferiore in un mondo accademico dominato da sanscritisti che mantengono spesso un atteggiamento intellettuale non molto diverso da quello di due secoli fa. Con poche eccezioni,6 la maggior parte degli studiosi del XX secolo ritengono sia possibile parlare di “letteratura indiana” come espressione di una cultura essenzialmente indiana, oppure come l’unità di formazioni letterarie distinte.7 D’altro canto, la ricerca di una forza unificante si ritrova storicamente anche nel movimento letterario progressista, tanto è vero che la rivista fondata nel 1939 a Lucknow si intitolava New Indian Literature.8 Lo slogan nehruviano “unità nella diversità” trova il suo riflesso letterario nell’idea che lo spirito essenziale che animerebbe tutta la produzione letteraria del subcontinente derivi dall’identità nazionale, capace di unificare ogni espressione letteraria. Ma che cosa possiamo farcene oggi di questo discorso, quando una delle caratteristiche della realtà postmoderna è la formazione di solidarietà translocali, la grande mobilità interconfinaria e la formazione di identità post-nazionali?9
Parlare di “letteratura indiana” nel senso di un “comune sentire” è una chimera. Certamente esistono miti e leggende, l’epica del Ramayana e del Mahabharata, le modalità narrative e i topoi che per secoli hanno unito le forme letterarie delle diverse lingue e che hanno avuto costante circolazione in tutto il subcontinente, fungendo da potente fonte di ispirazione per scrittori di ogni parte dell’India. Ma pensiamo a scrittori come Saadat Husain Manto,10 Mahasweta Devi,11 Gopinath Mohanty,12 Vaikom Muhammed Basheer,13 Laxman Gaikwad,14 Bama,15 VKN,16 U.R. Ananthamurthy17 e Shashi Tharoor,18 per menzionare solo alcuni nomi in diverse lingue: dire che condividano una cultura e una sensibilità comune è pura ideologia, poiché ciascuno di essi vive in un’India diversa, e con questo ritorniamo al problema della rappresentatività.
Attualmente la resistenza nei confronti della tesi dell’unicità è dovuta ad una certa apprensione nei confronti del pericolo dell’egemonia di una sola lingua che diventi portavoce della “letteratura indiana”. Ciò è rappresentato da una parte dalla lingua e letteratura più parlata (hindi), che in virtù della sua ufficialità e della legge di maggioranza ha più volte nella storia preteso di parlare per tutti; paradossalmente, d’altro canto, un pericolo maggiore viene da una delle lingue meno parlate, di origine peraltro non indiana, che talora afferma di esprimere l’unica vera letteratura indiana grazie alla sua indipendenza da ogni legame regionale. Infatti, gli studiosi di oggi si trovano ancora di fronte alla lotta fra gli scrittori in lingue “regionali” da una parte e quelli che usano l’una o l’altra forma di Indian English.19 Il fatto è che la visibilità internazionale degli scrittori che usano l’inglese è infinitamente maggiore rispetto a quella degli scrittori di tutte le altre lingue e pertanto la “letteratura indiana” è spesso oggi rappresentata quasi esclusivamente da essi. Basti ricordare lo scandalo che fece in India l’antologia curata da Rushdie in occasione del cinquantenario dell’indipendenza indiana, che selezionava 32 scrittori, dei quali uno solo scriveva in una lingua diversa dall’inglese.20
Se la “letteratura indiana” ha la funzione di rappresentare l’India come una nazione nella mappa mondiale (una nazione che non ha una lingua, non ha una religione, dovrà almeno avere una letteratura!), la questione di chi rappresenta la nazione non è di poco conto. Per tutte queste ragioni, ci pare che l’espressione “letteratura indiana” debba sempre essere fra virgolette proprio perché la molteplicità dei punti di vista, dei riferimenti, delle opinioni richiamate nell’unica espressione “letteratura indiana” contiene (ed è costituita da) categorie di letteratura molto mescolate, non semplicemente diverse, ma plurali. A nostro avviso, nessuna singola voce, per quanto variegata e complessa, può essere in grado di esprimere i numerosi e contraddittori impulsi che si trovano negli svariati scrittori dell’India.

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